lunedì 19 dicembre 2011

Evangelizzazione d' azienda.


Esistono due tipi di evangelizzazione aziendale, quella di conversione dei clienti, testimonial o contatti di relazione profani, all’ esterno della comunità, e l’azione di quest’ ultima per trasformare la società e renderla adeguata alle esigenze evangeliche. Vorrei soffermarmi sulla fase iniziale di questa: della nascita o creazione del corpus dei saperi ma, soprattutto, della trasmissione di questi: non mi riferisco solo ad una trasmissione di know how , benché possa essere benissimo il caso del contenuto di una conversazione, di un affiancamento o di un consiglio professionale ma, più semplicemente: della modalità.
Potremmo riferirci a codici aziendali e a regole non scritte che ad una analisi approfondita rivelerebbero comunque la presenza di algoritmi comportamentali ben definiti all’ interno di dinamiche funzionali ma anche informali, anzi, spesso queste sono nei risultati più sorprendenti ed eclatanti nel risultato, Camillo Olivetti, Venini, Innocenti, sono esempi dove l’ autorevolezza veniva conquistata dal modo di fare, dalla predisposizione verso il prossimo che non accettava la mediocrità, ma dava la possibilità di riscatto, sempre, in natura dei meriti.
Ne deriverebbe, secondo una visione contemporanea, un evoluzionismo delle intelligenze all’ interno di un contesto atto a favorirlo. Begli esempi sono forniti anche da modelli fortunati come il metodo Feuerstein (quello per il management).
Ma cito:
"Il mobilitare risorse e l'essere d'esempio o, ancora, aderire al sistema di valori dominante dell'impresa o a progetti aziendali è un qualcosa di molto più forte che centrare degli obiettivi concreti. Bisogna valutare il personale sotto il profilo della leadership". Parola di Alessandro Profumo, ex amministratore delegato di UniCredit e ora membro del consiglio di amministrazione dell'Eni … etc.”
Effettivamente la leadership abbisogna di una continua attenzione, assistenza, cura. Che sia personale, derivata, accordata o delegata, deve essere efficace ed efficiente, sia orientata al raggiungimento dei risultati concreti ma, contemporaneamente, anche ai valori. Ne consegue che sia una questione etica, cioè, sempre e comunque, comportamentale.
Vediamo predisposizione naturale di alcuni individui di sviluppare consenso e clima partecipativo intorno a loro ma, che sia inconsapevole, naturale o maturata, questa è una qualità che paga subito e anche a lungo termine, soprattutto nelle organizzazioni complesse e, in quelle evolute; è premiante, per tutti.
Più che di intelligenza della persona (qualità troppo vaga per la misurazione delle performances) mi piace parlare di comportamento intelligente, quello dove è la persona, nell’ interazione ambientale e relazionale che evolve, che aiuta l’ evoluzione e che è orientato ad un miglioramento delle condizioni di vita. In questo contesto mi piace indicare un evoluzionismo cognitivo di tipo piagetiano, dove alle esperienze segue un accomodamento non solo del soggetto ma anche dell’ organizzazione che diviene quindi, sotto questo aspetto, intelligente ed “impara da se stessa”  in rapporto ai contesti e ai soggetti esterni con i quali intende relazionarsi.
È quindi un atteggiamento mobile quello che permette alle menti di interagire in modo più efficace con una maggiore capacità di elaborazione e che va comunque calibrata in funzione dell’ efficienza.
Sapersi muovere, saper parlare, saper ascoltare, saper annuire, dissentire, dialogare, interloquire, saper guardare e sapersi mostrare, sono solo alcuni aspetti della comunicazione e tralasciamo qui le modalità ma, tutto questo, serve a crearesoprattutto relazioni e, non di meno, a mantenerle.
Sono quindi questi solo alcuni aspetti (a titolo di esempio) delle competenze relazionali, detti di tipo trasversale o che, per comodità, potremmo chiamare non formali ma proprio per questo aderenti alla complessità del mondo oggettivo, per quanto regolato da norme burocratiche o di processo. È proprio qui, in questa zona grigia, o di logica sfumata, che il dirigente dotato di padronanza di competenze “laterali”  diventa condottiero. 
Questi legge, interpreta e interagisce con una realtà più ricca di contenuti e di opportunità occupando perfettamente il suo spazio e il suo tempo.
Nella realtà complessa degli eventi quotidiani, questo ierofante è nodale nelle reti di relazione e di funzione che un’ organizzazione ha nella sua struttura, ma anche nel suo continuum. Più è alta la sua reale consapevolezza, più alto è il suo apporto a tale organismo e, la condivisione dei valori etici e morali, non saranno imposti ma essenziali.

Pier Paolo Bottin.

venerdì 23 settembre 2011

Chi è un imprenditore strategico?

Chi è un imprenditore strategico?


Come consulente strategico d’ impresa e formatore, era per me importante fosse chiaro un concetto nella mente dei miei interlocutori che volevano ottenere il massimo dalla loro azienda. Tra tutte le definizioni di strategia d’ impresa, Wikipedia, anche se fonte più generosa tra tutte su questo argomento, questa volta mi ha un po’ deluso per la sostanza e la quantità alquanto scarsa delle informazioni. Ho dovuto quindi riprenderla in modo critico ma costruttivo…

La strategia d’impresa è una disciplina che riguarda  la progettazione di una impresa in parte o totalmente e la definizione del piano attraverso il quale realizzare questa entità. Si intende, a volte, anche  la disciplina che sta a fondamento dell’attività di valutazione di una impresa.
In dettaglio, essa suggerisce il processo attraverso il quale progettare l’identità dell’impresa; indica quali sono le dimensioni rilevanti dell’ambiente e dell'impresa e propone i linguaggi da utilizzare per progettare l'identità d’impresa stessa. Trattandosi  di una disciplina che subisce una veloce e continua evoluzione, oggi si trova a metà di un guado che la sta portando da un approccio razionalista ad un nuovo approccio "autopoietico" (o di autodefinizione) suggerito dai modelli e dalle metafore della complessità, ne consegue una continua indagine epistemologica e una elaborazione di modelli che possono seguire le mode o essere di totale rottura per giocare su perni più vantaggiosi, traducibili in competitività ed innovazione.
L'approccio razionalista vuole l’ Impresa vista in un ambito di tipo evoluzionistico dove l’ambiente è sostanzialmente un ambiente economico. Il processo di progettazione/evoluzione è di tipo causa - effetto. Non comporta grandi balzi evolutivi ma cambiamenti in funzione quantitativa in senso incrementale, ergo: Il progetto assomiglierà di più ad una previsione di bilancio. La spinta evolutiva è sfida della competizione e Il valore di cui si occupa è sostanzialmente patrimoniale, economico e finanziario.
In sintesi, con questo approccio al fare strategia, si tende a conservare l’attuale sistema economico, ovvero è una guerra di posizione quando si è attaccati e di trincea quando si attacca.  Si tratta di un approccio che appare particolarmente astratto e non è mai stato utilizzato da imprenditori di grande successo.
L’approccio "autopoietico" è quasi all'opposto, è creativo, laterale.  Vede l’ambiente come un universo di potenzialità che l’impresa e la sua rete di alleanze e partnership può far convogliare nella direzione voluta. Vediamo quindi che l’ approccio è più umanizzato, nel senso che è l’ impresa/uomo con le sue intelligenze che crea il suo ambiente        
L’ambiente non è principalmente economico, ma anche sociale, politico, istituzionale, culturale e mediatico. Il valore aggiunto è raggiunto non per forza nella produzione e nell’ incremento di quest’ ultima ma sulla capacità di problem solving. In psicologia genetica potremmo fare il paragone con il primate che raggiunge soddisfazione nel raggiungere il suo obiettivo con oggetti casuali o addirittura che inizialmente sono di ostacolo.

Non definirei, come alcuni illustri colleghi che la progettazione di questo  è tipo bottom-up e out-in, quanto appunto un processo non sequenziale logico – deduttivo, piuttosto che induttivo ma, se di sequenza si deve trattare, allora potrà avere anche elaborazioni di algoritmi nuovi o rappresentanti la novità per campo di applicazione, es. :se la logica commerciale di un’ azienda X è sviluppata su quella logistica, o semplicemente la ricalca, dal momento della chiusura dell’ ordine alla consegna del prodotto al cliente, la si può racchiudere in un cerchio compiuto ma, se nella rimodulazione strategica di business, si volesse estendere il raggio di azione della forza vendita, con un intervento formativo tattico, su post vendita o sulla costruzione di un dialogo funzionale con la clientela, allora le volute percorse disegneranno qualcosa di simile ad una spirale (è solo un esempio). Vorrei più che altro dire che anche in questo momento la questione progettuale  è in evoluzione e quindi i modelli sono quel limite che va superato o meglio, i modelli, mi piace dire, sono fatti per essere superati. 

 Come processo di creazione sociale coinvolge e co-interessa portatori di interessi  di varia natura, interni come ecosistema ( idealmente o utopicamente può essere anche chiuso: le comunità amish) che esterni: clienti, istituzioni, territorio, cittadini, movimenti popolari, lobby; come mercato quindi la definizione classica ma un po’ impoverita nella traduzione è marketing interno ed esterno.
Alcuni operatori olistici definiscono il piano, invece che un prodotto ingegneristico, una sorta di "opera d’arte" ma, personalmente, mi piace di più il paragone dell’ analogia assieme la logica, dell’ arte con la matematica, in altre parole,  l’ architettura, o meglio, la geometria nelle sue declinazioni. 
La sfida fondamentale che si cerca di affrontare è di tipo imprenditoriale: la creazione di un nuovo sistema economico. Il valore di cui si parla non è solo patrimoniale, economico e finanziario, ma è anche sociale, politico, istituzionale, culturale. Si tratta di un approccio che appare molto simile, anche se ancora più potente, rispetto all’approccio utilizzato da imprenditori di successo e mi piace pensato per un’ economia reale.
Perché mi sono attaccato alle definizioni di Wiki? Non certo per recensirla, anzi,  è un buon inizio per introdursi all’ argomento ma non fa chiarezza. La strategia di impresa non è un semplice esercizio di stile né uno strumento e in molti fanno confusione. Potrei citare decine di esempi ma mi limito ad uno solo, molto breve e chiaro.
Un paio di anni fa venni invitato da un medio imprenditore locale,del valore sul mercato di allora di 100 milioni. Mi disse se si poteva applicare alla sua azienda la certificazione ISO 9000. Gli chiesi: “Perché vuole o sente di aver bisogno di questo?” Non fu molto chiaro nelle spiegazioni, mi disse che voleva riorganizzare l’ azienda, che voleva eliminare gli sprechi… mi chiamò il suo ragioniere, mi chiamò due capi vendite, mi chiamò anche un ragazzo in tiro che, non ho capito bene cosa facesse e tentò invano di far uscire le risposte da loro. “Mah molto strano” pensai;  risposi comunque che non ne vedevo tutta questa necessità e, se proprio comunque ci tenevano, li avrei messi in contatto con un collega specialista in sistemi ISO.
Dopo una quindicina di giorni venni richiamato dal ragioniere che, preoccupato per le sorti dell’ azienda, si mise a completa disposizione per chiarirmi la situazione. Intuii che il titolare, ma anche tutti i suoi collaboratori e dipendenti, non conoscevano i modelli di business, non conoscevano le tecniche di gestione e, soprattutto, non avevano mai sentito parlare di un business plan. Capito? Pensavano che la ISO servisse a comprendere come era strutturata la loro azienda, quali erano le sue funzioni, come governarla e ottimizzarla. Dovevo capire se almeno il titolare ed amministratore delegato era almeno in grado di gestire uno staff per deleghe ma, purtroppo non era possibile, era un accentratore, scorbutico e impositivo.     Mi chiese un parere spassionato. Gli risposi così: “Ritirati finchè sei in vantaggio!” Apprezzò il mio consiglio e lo seguì e so che adesso vive contento e più sereno.

La strategia di impresa è una questione culturale che riguarda l’ intelligenza, quella che poi divenne intelligence ma riguarda anche tutte le intelligenze, le intelligenze multiple in una elaborazione di piano strategico.

Vorrei concludere quindi dicendo che l’ esempio che ho riportato riguarda la percezione di un imprenditore che si è accorto di aver avuto fortuna ma che non era strategico (come un fortunato al gioco) e, una volta che cambiano le dimamiche, il clima economico o il mercato, non aveva visione, alternative; la sua è stata un’ azienda fortunata, con un modello comportamentale ripetitivo, uno standard di produzione consolidato, un’ azienda come ce ne sono state tante (aziende = enti agenti, che producono). Diciamo che ha ottenuto comunque il massimo dalla sua impresa, facendo il massimo nelle sue possibilità: una ritirata strategica. Comunque ogni buona intrapresa si basa su un buon piano, sulle scelte più azzeccate e sugli uomini giusti al posto giusto.

L’ impresa strategica fa strategia d’ impresa e, forse proprio questa, è il suo prodotto migliore.

Pier Paolo Bottin.

Fonti: Wikipedia, me stesso.

lunedì 5 settembre 2011

SI FA PRESTO A DIRE FORMAZIONE!

Si fa presto a dire formazione! Ma chi è il formatore?
Chi è formatore alzi la mano.  Qualifichiamolo! Docenti, insegnanti, formatori, educatori ed addestratori sono la stessa cosa? Oratore e predicatore sono la stessa cosa? Evidentemente no, urge fare chiarezza visto il casino che improvvisati, furboni ignoranti e markettari (cioè del marketing) creano artatamente per confondere le idee, anche perché le idee, spesso, sono confuse già in chi dovrebbe  educando, a voler deficere in cultura, come motivo di vanto.
Sono, a sentir alcuni di loro, tutti numeri uno in Italia, leader in Europa, first in the world, outsider, amico di… boh? Mai nessuno che è secondo… 
“Ecco perché Roberto Re può scrivere: «Non mi piace molto essere definito un “formatore”, non sono uno psicologo iscritto all’albo né, tanto meno, sono o voglio essere un terapeuta, anche se spesso svolgo in parte tutti e tre questi ruoli. Non mi piace nascondermi dietro etichette che non vogliono dire nulla».  Non si vuole definire un formatore (ma in parte lo è), né uno psicologo (ma in parte lo è) o un terapeuta (ma in parte lo è). Re, infatti, è qualcos’altro: è un predicatore, cioè un tipo particolare di comunicatore. Laico.” citazione

E infatti nel suo sito scrive così : “In oltre vent’anni di attività come formatore e Coach, Roberto Re si è sempre caratterizzato per la sua totale propensione al risultato. Tutto il suo lavoro è sempre stato proiettato ad aiutare le persone a raggiungere i risultati che si prefiggono! Proprio per questo, ogni anno migliaia di persone frequentano i suoi corsi dal vivo, che rappresentano indubbiamente una straordinaria esperienza di crescita personale guidata personalmente dall’unico formatore italiano di caratura internazionale e dal suo preparatissimo Staff.”

Non me ne abbia Roberto Re se in questa analisi prendiamo lui come esempio, effettivamente, è un po’ come sparare sulla Croce Rossa ma, ai fini di questa, vedremo perché ci sarà utile il suo caso.
A parte i vari dizionari, dove si spiega il significato del termine “formazione”, come per esempio il treccani.it  (già ospitante la nostra prima citazione), quella che mi sembra più concisa e chiara è su wiki (qui in sintesi):
“…è un processo complesso di trasferimento di contenuti e metodi per fare acquisire alle persone livelli intellettuali, culturali, emotivi e spirituali sempre maggiori… La formazione ha un'importanza talmente rilevante che molte università hanno intere facoltà dedicate proprio alla scienza della formazione, dove si studia la materia nel suo complesso.
La materia infatti ha attinenza, sia per sé stessa che per i contenuti terzi che è deputata a trasmettere, con l'area tecnico-scientifica, l'area umanistica e l'area di ricerca.
Nelle facoltà con questo profilo concorrono materie come storia della formazione, pedagogia, filosofia, psicologia, sociologia, lettere, scienze ecc., proprio perché alla crescita culturale della persona devono partecipare tutte quelle discipline umanistiche che rendono l'uomo diverso da tutte le altre cose del Creato.
La formazione è quell'insieme di attività didattiche che sono tese a preparare una persona a svolgere un'attività, una professione o molto più semplicemente a vivere. nSotto il profilo professionale e specialistico il concetto di formazione prende valenze diverse ma non cambia il suo obiettivo principale… La formazione è un argomento talmente vasto e complesso che neanche una voce di enciclopedia può essere esaustiva per spiegare la sua entità.
La formazione fa parte della nostra vita, della nostra filosofia di pensiero; in ogni momento c'è bisogno della formazione, perché nessuno nasce già con le conoscenze, metà della nostra vita la passiamo a formarci. Tutte le culture più o meno evolute hanno dedicato studi e risorse alla formazione, al passaggio della conoscenza, alla formazione di una coscienza.
La formazione è passaggio di idee, di pensiero, di cultura, e ogni popolo tramanda alle generazioni che seguono il livello di conoscenza che hanno acquisito.
La formazione è il passaggio di conoscenza, di contenuti, di capacità, di modi di pensare, di modi di essere.”
Ecco perché ad un sedicente formatore le etichette non vogliono dire nulla. Infatti la questione in ballo è talmente complessa per chi si prende la briga di formare individui, menti, esseri umani, da richiedere studi approfonditi in ambito ontologico, filosofico, pedagogico, psicologico e fisiologico. Ma questo non solo perché è la figura del formatore a richiedere tale impegno per la sua formazione completa ma, nella pratica, per una semplice funzione deontologica professionale, infatti, perché un individuo dovrebbe mettersi nelle mani di un altro semplicemente perché dice di essere in grado di aiutarlo? Semplicemente perché ci crede.  Ci crede per simpatia? Per gli slogan? Per il successo commerciale?
Se da sola la deontologia professionale non garantisce appieno il rispetto della questione morale nel codice etico, come può la pubblicità sostituirsi quindi ad esso? Solo tramite artifici retorici, non ontologicamente.

E qui abbandoniamo il buon Roberto Re per passare ad una manica di formatori, coach, allenatori dell’ anima senza tanti scrupoli.

Affidereste il vostro destino o quello della vostra famiglia o, ancora, della vostra azienda, ad un formatore che non ha titoli per esserlo?  Infatti il mercato è pieno di formatori auto-referenziati, alcuni (pochi) sono anche laureati, chi in legge, chi in scienze economiche, chi diplomato in arti marziali, ma nessuno impegnato nelle loro discipline di appartenenza, no. Nella maggior parte dei casi formano al benessere individuale o relazionale altre ci introducono nel mirabolante mondo della programmazione neuro linguistica rifilandoci master con licenza internazionale rinnovabile obbligatoriamente ogni anno per potersi fregiare del titolo di master o pratictioner.  Ma quello che promettono questi individui, con tale forza, prorompenza, pienezza in se stessi, allora dovrà esserci pure qualcosa di buono, no?  Mah dottori in giurisprudenza, economia e commercio, immobiliaristi, karateki,  inizialmente possono essere anche semplici appassionati dilettanti della formazione ma poi saltano sempre al pettine i nodi , alla base di tutto c’è il Business e contrariamente al buon senso, si tende a pensare:  se una cosa va, deve essere sicuramente buona… 
O vuoi che si facciano abbindolare in migliaia?


  A costo di passare per fondamentalista dico che formare è una missione e una professione. Tanti di questi individui autoproclamati sono “imprestati” alla professione, già falliti il più delle volte nelle loro vite professionali, riciclati nel mare magnum di internet e dei corsi out-door fine- settimanali. Non ho niente contro la PNL, la studiavo ancora nei primi anni ’80 su i testi classici di Dilts, Bandler,  Erickson e compagni, Tony Robbins  è un ex venditore porta a porta molto simpatico e disponibile (sempre pronto a farsi fotografare con chiunque, anche con i guru della domenica); è e rimane una tecnica, un semplice strumento, come ce ne sono tanti, a volte porta vantaggio, altre no, il fatto che se ne abusi, probabilmente, è dovuto al fatto che non è regolamentato perché epistemologicamente un po’ debole, innegabilmente di effetto e immediato, non è un toccasana né la ricetta per la felicità. Ultimamente la tendenza più nefanda e modaiola è l’ evoluzione esoterica della PNL, a questo non si può che ribattere così: non si può mischiare il sacro con il profano perché  non ci può essere niente di sacro nel profano, per natura.
Ci sono tanti modi per fare business, al di fuori della formazione. Formare, a volte, richiede di andare contro i propri interessi, e spesso, se non sempre, deve essere al di fuori dei propri personali interessi.  Il formatore se è bravo può anche guadagnare bene ma non è bravo perché guadagna bene.


Formare individui quindi, non per fare business, permette tutt’ al più la prestazione professionale e chi nasce professionalmente e accademicamente Formatore,  lo sa.
L’ esperienza lo tempra e dopo magari sarà anche bravo, potrà scrivere libri e venderli, potrà condurre trasmissioni televisive, potrà costruire un sistema organizzativo complesso per conto di una multinazionale, tutti derivati però dalla sua professionalità e dai suoi talenti, non miseri sostituti.





(foto: Jean-Jacques Rousseau)

Pier Paolo Bottin